
Una stanza dei bottoni con il medico che controlla a distanza centinaia di malati. Smart vision per monitorare i pazienti. Organi on demand da stampare in sala operatoria
di SANDRO IANNACCONE da La Repubblica del 24 Aprile 2017 , inserto Sanità
24 aprile 2017
Nasi elettronici che monitorano la qualità dell’aria in corsia. Sensori nei materassi per rilevare movimenti anomali dei degenti. Stampanti 3D in sala operatoria che sfornano “parti di ricambio”. E ancora: visori per la realtà aumentata, software predittivi per la diagnostica, sistemi di geolocalizzazione delle attrezzature biomediche.
Uno tsunami elettronico si sta per abbattere sugli ospedali, stravolgendone completamente i connotati. L’obiettivo è quello di renderli più efficienti e meno affollati, e di migliorare il lavoro di medici e sanitari e la qualità della degenza dei pazienti. Viste da una corsia d’ospedale in una qualunque delle regioni italiane che non riescono a garantire i livelli essenziali di assistenza strangolate da liste d’attesa, degenti abbandonati in barella, cartelle cliniche scarabocchiate e perse qua e là, le visioni hi-tech sembrano fantascienza. Ma ci sono posti, come le avveniristiche Cleveland Clinic dove il futuro è oggi, fattosi realtà, ad esempio, in una “remote intensive-care unit” in cui un medico può monitorare fino a 150 pazienti da una stanza a cui arrivano informazioni da cliniche sparse sul territorio circostante.
Sono esperienze parcellizzate ma che dimostrano come dovrà essere l’ospedale del futuro, capace di usare internet, intelligenza artificiale, sensori e tutto l’hi-tech necessario per smantellare quello che oggi vediamo e che non è più sostenibile e non riesce a soddisfare il bisogno contemporaneo di salute. «Siamo in un momento storico – spiega Giorgia Zunino, direttrice scientifica di Hedux, associazione di ricerca che promuove progetti di alta formazione, e dirigente tecnico all’Ircss San Martino di Genova – in cui la sensibilità e la potenza degli strumenti sono aumentate esponenzialmente, il che avrà ripercussioni fortissime in ambito sanitario». Zunino è tra gli speaker al XVII convegno nazionale dell’Associazione italiana degli Ingegneri Clinici, appena concluso a Genova La strada però è stretta: da una parte c’è la velocità di produzione delle tecnologie, che rischia di tagliare fuori chi non vi si adegua; dall’altra i deficit di bilancio che impongono scelte tempestive e lungimiranti. «Il primo e più importante impatto della tecnologia sugli ospedali sarà quello di ridurre il numero di ricoveri», spiega ancora Zunino.
Gli anziani e i pazienti cronici, per esempio, saranno trattati soprattutto nelle loro abitazioni, grazie a sistemi di sensori e software predittivi che comunicano in tempo reale con i medici e prescrivono il ricovero solo quando strettamente necessario. Un accorgimento che potrebbe portare a risparmiare fino al 40% della spesa per i ricoveri in terapia intensiva, che arrivano a costare 2500 euro al giorno per paziente. «Anche gli esami clinici, almeno quelli di base, saranno fatti in casa, con dispositivi economici da usare in combinazione con lo smartphone. I laboratori ospedalieri diventeranno un tutt’uno con le sale operatorie e saranno dotati di stampanti 3D per produrre sul momento organi e tessuti da impiantare nei pazienti», aggiunge Zunino. Organi on demand: magari non proprio dietro l’angolo.
Mentre già possibile sarebbe l’utilizzo di occhiali per la realtà aumentata, dispositivi tecnologici che consentono a chi li indossa di registrare foto e video e di ricevere informazioni che vengono visualizzate in tempo reale sovrapposte sul proprio campo visivo. Una tecnologia che è stata sperimentata con successo alla Federico II di Napoli: «I visori – spiega Paolo Pari, del direttivo dell’Aiic – sono stati utilizzati per il controllo e la manutenzione delle apparecchiature biomediche». Per applicazioni ancora più intriganti, come l’utilizzo dei visori da parte dei chirurghi, per avere per esempio informazioni in tempo reale sui parametri vitali del paziente, bisognerà invece aspettare ancora qualche anno: «La risoluzione degli smart glass – dice ancora Pari – non è ancora sufficiente per consentirne l’impiego in sala operatoria. Ma è solo questione di tempo».